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La mente è mia nemica?

Mentre scrivevo il titolo di questo post tutto me stesso gridava no alla domanda “la mente è mia nemica?” Io che con la mente ci lavoro e attraverso la mente cerco di aiutare gli altri come posso considerarla “mia nemica”? Eppure se supero l’impulsivo istinto a gridare no e penso al ruolo che spesso la mente gioca nel generare emozioni negative e nel porci pensieri e domande che ci mantengono in una posizione passiva e sofferente la risposta alla domanda del titolo non è affatto scontata. Uno delle caratteristiche che fa diventare la mente nostra (temporanea) nemica è quella di affrontare ogni situazione della vita come un problema da risolvere.

Non ne siete convinti?

Credo che anche i meno ferrati in matematica abbiamo pensato un 7 vedendo l’immagine. I più creativi si saranno chiesti anche cosa rappresentano se persone, animali o cose inanimate ma nessuno ha messo in dubbio che si tratti di un’operazione matematica della quale andava trovata una soluzione indipendentemente se ciò sia utile o meno. Anticipo un’obiezione (giusta) a questo esempio. La nostra mente interpreta il 3+4 come un problema perché non ha altre esperienze con due cifre ed un più in mezzo che non siano un’addizione. Quasi giusto ma cercherò esempi più convincenti.

 Questa celebre illusione percettiva nota come Vaso di Rubin fa parte di una serie di immagini bidimensionali sviluppate all’inizio del secolo scorso dallo psicologo danese Edgar Rubin. Rubin apparteneva alla corrente psicologica della Gestalt che, tra le altre cose, studiava la percezione ovvero come la mente elaborasse le informazioni visive da un punto di vista percettivo. Mi rendo conto che questo passaggio è un po’ tecnico ma anche particolarmente chiaro nello spiegare perché la nostra mente è progettata per “risolvere problemi”; persino nella percezione visiva infatti gli psicologi della Gestalt capirono che la nostra mente doveva “decidere” come elaborare l’informazione visiva che vedeva. Non è scontato, come credevano i più, che se i nostri occhi vedono (percepiscono) un oggetto specifico (il cosiddetto fenomeno) la nostra mente elabori l’immagine dello stesso oggetto. Per chiarire meglio il passaggio Rubin elaborò l’immagine del Vaso in cui alcuni vedono due volti bianchi di profilo che si guardano mentre altri un vaso stilizzato nero; la nostra mente “sceglie” un’immagine come “principale” e tutto il resto diventa sfondo. Nessuno è in grado di percepire volti e vaso contemporaneamente senza nessuno sfondo.

Ora capite perché ho fatto questo affondo storico nella psicologia della Gestalt? Ogni secondo la nostra mente ha davanti a propri occhi situazioni ambigue che devono essere risolte e nel corso dell’evoluzione questa caratteristica è stata affinata e perfezionata.

Perchè percepire tutto come un problema può diventare problematico?

Ricordavo nel paragrafo precedente che l’evoluzione ci ha reso “eccellenti solutori di problemi” e questo è stato in termini di sopravvivenza utilissimo. Oggi però il nostro nuovo habitat fatto di relazioni interpersonali, tecnologia e quant’altro stimola in maniera molto più complessa la nostra mente; mi spiegherò con un esempio: a tutti sarà capitato di trovarsi all’aria aperta magari in montagna o al mare e il tempo ha iniziato a peggiorare improvvisamente, immancabilmente un tuono ha catturato prepotentemente la nostra attenzione; in automatico chi più e chi meno ha elaborato questa informazione (spesso accompagnata da un ancestrale inquietudine quando non vera e propria paura) con la decisione di andare al più presto al riparo per non farsi sorprendere dal temporale. Capite come funziona bene per la nostra mente “risolvere problemi”. Ora immaginate quanti rumori elettronici e meccanici deve elaborare nel 2017; quando siamo in un bar e una suoneria avvisa che è arrivato un messaggio e tutti a capire (a risolvere il problema) se è loro oppure di qualcun altro. Non è tanto che è “problema” da decifrare è più “grave” (lo era di più il temporale) ma è tanto più ambiguo.

Se ci spostiamo sulle relazioni interpersonali apriamo un vero e proprio vaso di Pandora. Leonardo da Vinci dipinse la Gioconda all’inizio del 16° secolo e dopo più di 500 anni siamo ancora a discutere se Monna Lisa nel quadro stia sorridendo o del perché stia sorridendo. Provate a cercare su google “perché la Gioconda sorride” e vedrete quante teorie più o meno attendibili ci siano, tutte accomunate dallo stesso scopo: risolvere il problema del sorriso della Gioconda.

Immaginate la stessa ambiguità percepita sui volti delle persone che contano nel nostro mondo: il partner, i figli, il capo, un passante che ci guarda…gli esempi richiederebbero 10 post.

Cosa provoca non riuscire a risolvere queste ambiguità?

In molti casi ansia, tanta e fastidiosa ansia. Non sapere se nostro figlio è triste, non sapere se ci dice la verità, non sapere se siamo apprezzati veramente, non sapere se siamo amati e se lo saremo per sempre…Molti di questi “problemi” non hanno una “soluzione”, non è il rombo di un tuono che significa temporale-pericolo.

Come non cadere nel meccanismo risolvi-problema?

  1. Come ribadito in altre circostanze, il primo passo è sempre acquisire la consapevolezza di cosa ci sta accedendo: dobbiamo accorgerci che ci stiamo preoccupando eccessivamente e il frutto di tanta ansia è il non riuscire a risolvere la situazione.
  2. Impariamo ad accettare che non tutte le situazioni che percepiamo come problemi hanno una soluzione nel qui ed ora.
  3. Accettiamo l’ansia e le altre emozioni negative e affrontiamo la situazione momento per momento; questo ci farà acquisire una consapevolezza nuova e un punto di vista diverso della situazione e quello che prima percepivamo come “problema” ci apparirà come un evento che dobbiamo accettare, a volte sopportare ma che possiamo affrontare e vivere. La “soluzione” sarà una conseguenza di questo nostro nuovo atteggiamento.

 

La vita non è un problema da risolvere. È un mistero da vivere.

SOREN KIERKEGARD

 

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