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Mindful-qualche-cosa.

Sempre più spesso ci vengono proposte nuove attività basate sulla mindfulness e sembra quasi che aggiungendo mindful ad una qualsiasi attività umana essa diventi automaticamente utile ed efficace. Come al solito voglio rompere qualche uovo nel paniere.

Mindful qualche cosa.

Torno a parlare di mindfulness e, per chi si fosse perso le puntate precedenti, può trovarle qui e qui; la mindfulness è una pratica che sta prendendo piede non solo in tutti gli approcci cognitivo-comportamentali cosiddetti di “terza generazione” ma, non senza qualche incongruenza, anche in molti altri approcci psicoterapeutici. L’eco della mindfulness ha superato i confini della clinica e, per fortuna, sta diventando una risorsa alla portata di tutti. Fino a qui sembrerebbero solo buone notizie ma, negli ultimi mesi, assisto ad un fenomeno che mi preoccupa non poco: il ridurre la mindfulness a una sorta di aggettivo improprio.

Ovunque veniamo invitati a prove di meditazione, vengono esaltate le virtù curative della mindfulness, ci vengono propinate pillole di mindfulness e, sempre più spesso, vengono partorite un sacco di nuove proposte mirabolanti: mindful walking mindful running, mindful cycling

Cerchiamo di analizzare il fenomeno.

Le nuove proposte per fare esperienza di mindfulness sono solo una moda recente?

Assolutamente no, pensiamo a tutta la tradizione orientale del Buddismo Zen e alle varie pratiche ad esso legate: lo zen e la cerimonia del tè, lo  zen e l’arte del tiro con l’arco, lo zen e l’arte dell’ikebana, lo zen e le arti marziali… Da centinaia di anni si sperimentano nuove strade per affinare la propria consapevolezza (Dō in giapponese significa appunto via, cammino spirituale) e se questo vale per la meditazione “religiosa” orientale perché non dovrebbe valere per la meditazione “laica e scientifica” occidentale? Da qui il nascere di esperienze di mindfulness legate ad alcune attività quotidiane sportive e non.

Le nuove proposte basate sulla mindfulness sono efficaci?

Se fatte bene si. Camminare, correre o fare giardinaggio in maniera consapevole può essere un’attività arricchente e rilassante e può sicuramente rendere più efficaci i benefici della mindfulness perché applicata ad attività che ci piacciono e si presuppone non facciamo fatica a fare. Il problema è che spesso non sono fatte bene…e non mi riferisco tanto alle competenze degli psicologi o di chi per essi vuole guidarvi nell’apprenderne i principi, aspetto  peraltro molto importante, ma ad alcuni fraintendimenti che vorrei evidenziare per evitare che v’incappiate.

1. Ti piace quello che stai facendo?

Sembra una cosa ovvia ma provare a fare un’attività che non ci interessa minimamente, in maniera consapevole, non è una buona idea. Se ti fa schifo fare l’orto non fare il corso di “orticoltura mindfulness”. Ci possono essere delle attività sicuramente che suscitano poco interesse ma che poi tramite un approccio di tipo mindfulness possono diventare piacevoli ma se ad una cosa siete proprio “allergici” lasciate perdere.

 

2. Se non vuoi diventare un monaco, non pretendere di essere mindful in tutto.

Sicuramente ci sono persone che riescono ad essere più mindful di me e imparare ad esserlo in momenti diversi della nostra vita può renderla migliore; perfettamente d’accordo ma non pretendiamo tutti di diventare monaci zen. Ci sono tanti momenti in cui ci lasciamo andare ed indugiamo nei nostri pensieri e non c’è nulla di male in questo. Prendiamo la corsa, a me piace correre e, per brevi tratti, ho corso in maniera consapevole, o per dirla in maniera british ho fatto mindful running; ho portato l’attenzione al mio respiro, mi sono concentrato sul ritmo della corsa, e via dicendo e sono contento di poterlo fare perché in certi momenti mi può essere utile ma la maggior parte del tempo in cui corro mi piace pensare, ascoltare musica, guardarmi in giro e sicuramente in quei momenti sono meno mindful. Se corressi soltanto  in modalità mindful diventerebbe un’altra cosa e non mi divertirebbe più.

3. Sono diventato più mindful perché faccio mindful walking.

Fare un’attività strutturata, sotto una guida esperta, in cui imparare la mindfulness è una preziosissima iniziativa, nessuno può affermare il contrario ma legare il poter essere “mindful” ad una specifica attività e rimanere incasinati come sempre nell’arco della giornata non è un percorso efficace. Ricordiamo ancora una volta la definizione di Jon Kabat-Zinn della mindfulness: prestare attenzione al momento presente, in maniera intenzionale e non giudicante. Che me ne faccio dell’abilità di prestare attenzione al momento presente, in maniera intenzionale e non giudicante soltanto il martedì e il giovedì dalle 17.00 alle 18.00 sulla pista ciclabile se poi invece faccio il contrario nei restanti momenti? Posso testimoniare che i risultati più sorprendenti in termini di consapevolezza li ho scoperti quando finalmente mi sono sentito mindful bevendo un bicchiere d’acqua o ingannando l’attesa in una rumorosa sala d’aspetto del medico; certo questo è possibile ed agevolato dall’imparare in un setting preciso strutturato ma poi l’obiettivo rimane nel nostro presente e non nel passato o nel futuro rappresentato dalla nostra attività di mindful-qualcosa.

Come “fare la mindfulness”?

A costo di sembrarvi noioso e ripetitivo la risposta alla domanda è: quello che ti permette con maggior facilità di prestare attenzione al momento presente, in maniera intenzionale e non giudicante. Stabilito il presupposto fondamentale, ad ogni principiante consiglio di approcciarsi seguendo alcune tappe che ho trovato funzionali:

A) PREMESSA: la mindfulness è difficile da definire ma ricordati che consiste “semplicemente” nel prestare attenzione al momento presente, in maniera intenzionale e non giudicante. Prendilo come punto di partenza che diventerà un obiettivo via via più chiaro nel corso della pratica.
B) LE BASI: lasciare andare i propri pensieri, concentrarsi sulle sensazioni e spostare la nostra attenzione e tante altre “abilità” che si usano nella mindfulness sembrano cose semplici ma risultano molto complesse se vengono richieste per un tempo più lungo o in un contesto più complesso. Imparare le basi è fondamentale nella mindfulness come in qualunque altra disciplina; consiglio la guida di un istruttore esperto e praticare quotidianamente a casa. Non servono contesti particolari, una stanza e una sedia comoda andranno benissimo.
C) ESPLORATE: avete iniziato a comprendere le basi (non smettete mai di esercitare le “basi”!), ora potete provare ad applicare i principi alle attività più disparate che fanno parte del vostro quotidiano.
D) SCELTA: se state continuando ad imparare ed ad applicare le basi (A e B) e state esplorando il vostro presente (C) potreste aver trovato un’attività in cui esercitarvi con la mindfulness vi aiuta e moltiplica gli effetti già positivi di quell’attività: ottimo! Potete consolidare quell’abitudine e dedicarvici.

In conclusione non lasciatevi attrarre dalla “moda” del momento ma partite dalle “basi”; così potreste trovare veramente un’attività basata sulla mindfulness che fa veramente per voi. Io ad esempio ho inserito una piccola routine di stretching nella mia settimana e la trovo un modo molto utile per fare mindfulness e migliorare la mia flessibilità; prometto che ve lo racconterò meglio in un post più avanti.

Ricordatevi che fare mindfulness fa bene ed ha molte ricadute positive che numerose ricerche scientifiche hanno ampiamente dimostrato.


Alcuni riferimenti scientifici per chi volesse approfondire

Fox, K. C., Dixon, M. L., Nijeboer, S., Girn, M., Floman, J. L., Lifshitz, M., et al. (2016). Functional neuroanatomy of meditation: a review and meta-analysis of 78 functional neuroimaging investigations. Neurosci. Biobehav. Rev. 65, 208–228. doi: 10.1016/j.neubiorev.2016.03.021

Goldin, P. R., and Gross, J. J. (2010). Effects of mindfulness-based stress reduction (MBSR) on emotion regulation in social anxiety disorder. Emotion 10, 83–91. doi: 10.1037/a0018441

CrossRef Full Text | Google Scholar

Goodman, R. J., Quaglia, J. T., and Brown, K. W. (2015). “Burning issues in dispositional mindfulness research,” in Handbook of Mindfulness and Self-Regulation, eds B. Ostafin, M. Robinson and B. Meier (New York, NY: Springer), 67–80.

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